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Grafologia forense, deontologia
di Dott. Lelio Cassettari
(Dottore in Scienze dell'Investigazione, Ispettore Polizia, membro del Direttivo CSI)
 

Il vocabolo deontologia deriva dal greco “deon” e significa “dovere”, “discorso su ciò che è dovuto”; la deontologia professionale, altresì, consta dell’assieme di norme di comportamento che formano il codice etico, in pratica l’atteggiamento che gli esercenti di talune attività professionali devono osservare a causa delle loro peculiari caratteristiche, in quanto il loro operato interessa l’ambiente del sociale e del civile. L’insieme delle regole predette è condiviso da tutto il settore professionale al quale fa riferimento, e la loro presenza è fondamentale per il corretto esercizio di una determinata professione, anche al fine di far percepire ai terzi, destinatari della prestazione professionale, che questa si svolge, oltre che nel rispetto della legge, anche in considerazione di quelle regole di civile convivenza necessarie all’ordinato svolgimento della vita sociale. La natura di precetto di molte norme deontologiche, prevede, in caso di mancata osservanza delle stesse da parte del perito/consulente, l’applicazione di sanzioni molto severe, che vanno dall’avvertimento, alla sospensione dall'albo per un tempo non superiore ad un anno, alla cancellazione dallo stesso (art. 20 disp. att. c.p.c ed art. 70 disp. att. c.p.p.)

Il perito grafologo non fugge a questi doveri, proprio perché la falsificazione grafica può essere presente in tutti i settori ove la scrittura rappresenta il mezzo per ratificare e avvalorare i rapporti fra le parti contraenti (atti pubblici, testamenti, cambiali, assegni, scritture private). Non esprimo nessun nuovo concetto affermando l’elevata delicatezza delle funzioni peritali, che comportano un’estrema preparazione e competenza del professionista operante, giacché le determinazioni che usualmente i periti ed i consulenti sostengono sono fondamentali per il giudice, che si rifà ad esse per poi prendere una decisione, ed una soluzione, sul caso concreto che gli è prospettato. Da ciò la convinzione che il tecnico incaricato debba svolgere il proprio lavoro non soltanto in modo corretto, bensì in maniera assolutamente convincente e trasparente, in modo da chiarire al giudice la validità della propria tesi.

Dalle conclusioni di una relazione tecnica redatta come risposta ad un quesito dell’A.G. possono scaturire le sorti di un processo. Il perito assume un importante ruolo nell’iter processuale perché può indirizzare le decisioni: proprio per tale fatto egli deve essere imparziale ed il suo giudizio tecnico sulle questioni prospettategli, come quello del magistrato giudicante, non deve tener conto delle esigenze dei soggetti coinvolti nel procedimento.

Va ricordato che il CTU/perito è al servizio della verità e perciò deve rimanere, proprio come il giudice, sopra le parti, perché una perizia errata può comportare la condanna ingiusta di una persona innocente. (rif. art. 111 Cost.)

Il magistrato ed il perito lavorano necessariamente insieme, alla ricerca della “verità processuale”, che va distinta dalla verità vera: l’organo giudicante può affermare che l’imputato è colpevole perché in base alle prove assunte appare tale.

Le consulenze grafologiche, per la complessità e specificità della materia che le contraddistinguono, richiedono conoscenza e preparazione sia nel settore della relativa dottrina giuridica sia nella specifica area tecnico-scientifica specialistica. Come precedentemente indicato, la portata sociale dell’incarico che l’esperto è chiamato a compiere e la sua valenza nell’indirizzo e proseguo del processo è molto importante. Una consulenza errata, infatti, potrà orientare il giudice e la pubblica accusa, a volte ignari dell’erudizione grafologica, verso convincimenti e conclusioni erronee, rappresentando fonti di possibile danno per chi potrà essere ingiustamente condannato.

In tali casi si possono prevedere una serie di responsabilità imputabili al perito od al consulente, che non ha svolto correttamente l’incarico affidatogli dal giudice, con le potenziali conseguenze che le leggi penali e civili prevedono, poiché nello svolgimento dell’attività peritale si possono individuare dei casi estremi di violazione non solo delle norme di deontologia, ma anche dei codici penale, civile e di procedura penale.

Le norme penali applicabili, ipotizzando un’errata consulenza, sono riscontrabili nei seguenti articoli: “Falso in perizia” (art. 373 c.p.), “Frode processuale” (art. 374 c.p.), “Omissione di atti d’ufficio” (art. 328 c.p.), “Rifiuto d atti legalmente dovuti” (art. 366 c.p.), “Falsità in atti commessa da un pubblico ufficiale” (art. 476, 483 c.p.), “Consulenza – patrocinio infedele” (art. 380 c.p.).

Tali norme sono contemplate anche nell’ordinamento del codice civile, che estende (art. 64 c.p.c.) al consulente tecnico le disposizioni del codice penale relative ai periti, precisando che “il consulente tecnico che incorre in colpa grave nell'esecuzione degli atti che gli sono richiesti, è punito con l’arresto (…) o con l’ammenda (…)”.

Non rientrano in tale fattispecie i possibili errori dovuti all’ambiguità dei dati a disposizione, nel qual caso il consulente dovrebbe astenersi dall’esprimere pareri di certezza, basati su ricostruzioni ipotetiche, soggettive e presunte. La risposta al quesito è data sotto forma di “parere tecnico-scientifico”, emergente dall’oggettività delle grafie avute a disposizione; quindi tale certezza, se fossero utilizzate altre o diverse scritture comparative, naturalmente non a disposizione del professionista nel caso in esame, potrebbe anche cambiare e non essere più tale. Esistono, infatti, delle abitudini professionali, soprattutto nel metodo denominato “calligrafico”, che possono condurre il consulente ad esprimere i risultati peritali sulla base solo dell’osservazione generica del documento in esame, quindi facendo affidamento sulle proprie capacità d’osservazione: si pensi alle conseguenze che può apportare una valutazione sommaria di questo genere! Ciò, in quanto, la C.T. è una dimostrazione di dati “oggettivi” (virgolette), che devono essere chiariti scientificamente al magistrato che legge l’elaborato peritale. Le conclusioni devono emergere con chiarezza e devono derivare dalle regole tecniche e scientifiche che sono alla base di tutto il lavoro peritale, perché non possono essere impostate sull’ambiguità e sul dubbio. Solo asserzioni obiettive, imparziali, riscontrabili ed accertabili possono dimostrare che una scrittura è autografa o meno.

Diventa perciò necessario elaborare una relazione tecnica che contenga i dati in base ai quali il professionista è pervenuto ai risultati peritali di identità o falsificazione della scrittura in esame, illustrando le omogeneità e le differenze sostanziali fra i segni grafici a confronto, con la spiegazione di come è stato raggiunto un determinato risultato, rappresentando poi le conclusioni ed effettuando la “verifica” dell’esito con un procedimento logico-matematico, quindi scientifico.

Non è deontologicamente corretto, inoltre, enunciare risultati oltre le possibilità scientificamente raggiungibili e concludere con affermazioni basate su probabilità, giacché ciò equivale ad ammettere opinioni personali e non dimostrazioni tecniche e scientificamente dimostrabili. Ugual rigore deontologico deve essere posseduto dai C.T.P., ai quali spetta il compito di consigliare o meno l’avvio di un procedimento giudiziario e di valutare i dati a disposizione nel modo più oggettivo possibile, evitando l’estrema difesa o l’accettazione passiva della tesi supportata dal committente. Infatti, anche il C.T.P. ha l’obbligo di prestare la propria opera tecnico-scientifica utile alla ricerca della verità, e non per raggiungere il risultato processuale voluto dalla parte, se esso si discosta dalla veridicità e dalle evidenze messe a disposizione. Occorre, perciò, auspicare un comportamento civile e corretto, sotto il profilo sia deontologico sia etico, da parte del perito e del consulente grafologico, poiché essi concorrono, seppur indirettamente, nel procedimento d’amministrazione della giustizia. Appare poi evidente che è necessaria una maggior coscienza dei propri limiti, in modo da non assistere ad improvvisazioni da parte di consulenti privi dei presupposti culturali e metodologici necessari per svolgere una disciplina complessa come quella della grafologia forense.

Concludo quest’analisi ricordando che il codice deontologico prevede altri innumerevoli doveri da rispettare: contegno, decoro, correttezza professionale, lealtà, dovere di segretezza (il perito ed il consulente del giudice sono vincolati dal giuramento o dalla “dichiarazione d’impegno”, che lo sta progressivamente sostituendo), obbligo di dichiarare il proprio stato d’incompatibilità senza attendere eventuali ricusazioni promosse dalle parti, accettazione degli incarichi solo se rientrano nelle proprie competenze, conoscenze e capacità. Tra i valori essenziali ed irrinunciabili, costituenti obblighi di natura deontologica, che devono essere alla base del comportamento di ogni perito/consulente, vanno segnalate la correttezza professionale, la lealtà e la buona fede, qualità che portano il professionista ad osservare con equità i propri doveri connessi all’incarico da espletare.

Rientra infine fra i vincoli anche il divieto d’utilizzo di titoli falsi od inesistenti, cosa che purtroppo accade anche in una professione come quella del perito, la cui attività è oltretutto regolata dai codici. Il giudice dovrà scegliere un perito grafologo che sia realmente competente e preparato, e quindi esigere che possegga un adeguato titolo di studio, che abbia frequentato un “serio” ed impegnativo corso di grafologia peritale e forense presso un’idonea scuola o ente riconosciuti dall’ordinamento giuridico e dalle strutture pubbliche. Usualmente, il perito grafologo è scelto fra gli iscritti all’Albo istituito presso ogni tribunale. Tale operazione, però, non fornisce la certezza della formazione professionale e della coscienziosità del tecnico, in quanto, e lo posso affermare con certezza, vi sono degli specialisti (o presunti tali) iscritti all’Albo che sono sprovveduti di un adeguato titolo di studio e che non hanno frequentato alcun corso di grafologia presso strutture professionali: possono essere autodidatti, oppure possono essere soggetti possessori di conoscenze su materie quali la stenografia e la calligrafia che s’improvvisano periti grafologi.

La scelta del perito deontologicamente preparato, competente, valido e professionalmente aggiornato va allora indirizzata preferibilmente verso chi ha pubblicato libri od articoli sull’argomento, oppure verso chi è iscritto ad associazioni od enti aventi riconoscimento giuridico, nonché solidità e valenza nella struttura costitutiva, in modo tale che i suddetti organi diano garanzia per la diligenza, serietà e preparazione professionale, comprensivi i titoli accademici e quelli “specialistici”, del proprio iscritto ed associato, chiamato dal giudice ad esercitare l’attività peritale.

Pubblicato in rete il 8.11.2007