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La polizia scientifica
in grafologia adotta prevalentemente il metodo di Salvatore
Ottolenghi, cosiddetto metodo grafonomico. Difatti, la
grafonomia
risale agli studi di Salvatore Ottolenghi (1861-1934), illustre
medico-legale astigiano che dopo aver frequentato i corsi di Cesare
Lombroso all’Università di Torino e esserne stato assistente, ottenne la
cattedra di Medicina-Legale a Siena, che resse fino al 1903. Si trasferì
poi a insegnare a Roma, dove fu il promotore della fondazione della
Scuola di Polizia Scientifica, alla quale diede un indirizzo
antropo-biologico.
In Criminalistica, suo è il metodo grafonomico che si oppone a quello
grafologico perché si basa non sull’interpretazione grafo-logica del
segno grafico, ma sulla comparazione bio-antropologica criminale.
Secondo Ottolenghi, la comparazione tra scritture deve avvenire tra
elementi omogenei e corrispondenti, al pari dell’identificazione tra
persone, per come le compie la polizia. |
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Il postulato di questo metodo è che al mondo non esistono due impronte
digitali uguali; quindi, del pari, non esistono due scritture uguali.
Il metodo grafonomico è fallace, proprio perché la proposizione che ha
alla base “non esistono al mondo due impronte digitali uguali”, è
falsificata dalla notizia di cronaca del 12 ottobre 2019, dove l’Ansa
per prima, ha svelato:
«L'uomo Xavier Dupont de Laggonés arrestato a Glasgow non è il sospetto
"mostro" di Mantes, accusato di aver sterminato la sua famiglia otto
anni fa, poiché anche se le impronte digitali sono identiche, l’esame
del Dna non corrisponde a quello dell'uomo in mano alla polizia
scozzese, secondo quanto si apprende dagli inquirenti francesi».
Dunque, la proposizione Tutti i corvi sono neri
è vera finché non s’incontrerà un corvo che non sia nero!
Ciò per dire che, se volessimo accettare il metodo grafonomico come
valido, commetteremmo doppio errore scientifico: il primo, ci baseremmo
(come accade anche per la grafologia tradizionale) su studi del Secolo
scorso (datati 1924); il secondo, è che tale metodo oggi è fallace in
Criminalistica (identificazione basata sulle impronte digitali),
figuriamoci nella comparazione della scrittura.
Non solo è fallace perché sappiamo che al mondo due persone possano
avere le stesse impronte digitali (come dimostra il caso del “mostro di
Mantes”), ma lo afferma anche
l'Associazione americana
per l'avanzamento delle scienze (AAAS), che in un report mettono in
discussione questa certezza.
Le impronte non sono più dunque un metodo efficace per l'identificazione
di un soggetto. Joseph Kadane che ha collaborato al report ha
affermato: «I metodi che le analizzano servono a identificare la
persona che ha lasciato il suo segno sulla scena del crimine, ma l'esame
delle tecniche per analizzare le impronte digitali nascoste, dimostra
che non esiste un metodo scientifico per stimare il numero di persone
che condividono le caratteristiche di un’ impronta digitale, e inoltre
non si può escludere l'errore umano durante il confronto". Di fatto,
dunque, non c'è più la certezza che a un'impronta possa corrispondere
un'identità: Non si può affermare che le impronte latenti possano essere
associate a un unico individuo con una precisione del 100%».
Secondo Marascio: Nel 2002 sulla rivista scientifica internazionale
“European fingerprint standards a ‘pointless’ exercise” Fingerprint
Whorld, 28, p. 19), è stata pubblicata la tabella comparativa che mostra
come in alcuni Paesi (Svizzera, Gran Bretagna, Stati Uniti e Canada) non
è richiesto un numero minimo di punti di identità, lasciando spazio
all'esperienza e all'etica professionale del tecnico operante. Va,
inoltre, segnalato che nel 1995 l'International Symposium on Fingerprint
Detection and Identification, ventotto esperti dattiloscopisti
(rappresentanti di undici Paesi) all'unanimità hanno approvato una lieve
modifica alla risoluzione del 1973 della I.A.I. (International
Association for Identification), stabilendo che: “Non esistono basi
scientifiche per esigere che un numero minimo predeterminato di punti
caratteristici delle creste papillari debba essere presente in due
impronte al fine di stabilire un'identificazione positiva”.
In Dattiloscopia non
esiste un metodo scientifico che stabilisca scientificamente quale debba
essere il numero esatto di punti caratteristici uguali per forma,
posizione e orientamento, per scoprire l’identità. (In Italia c’è una
sentenza della Corte di Cassazione che fa suo il parametro di 16/17 pts,
ma la scienza non nasce dalla Corte di Cassazione).
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